Welcome to Shanghai! Una visita architettonica a Bolzano


David Calas e membri del CASA durante la visita architettonica “Welcome to Shanghai” a Don Bosco (Foto: Felix Obermair)

Costruiti in pochi anni, un po’ alla rinfusa, perdendosi anche in grandi esperimenti urbanistici, con considerazioni architettoniche spesso incerte, etnicamente tuttora abbastanza omogenei, lontani dal centro, c’è chi definisce questi insediamenti: piccoli ghetti. E c’è chi guarda alla piazza con i ragazzi che giocano a pallone, ai bar sport dove si conoscono tutti e al supermarket al centro della vita del quartiere, e li definisce: piccoli paesi. È una questione di prospettiva?

La stessa tensione si ritrova nel nome attribuito loro. “Shanghai”, “Bronx”, “Manhattan”: possono esprimere insofferenza, derisione, sfottò. Ma possono anche creare un’identità, come certi soprannomi: non definizione geografica, denominazione ufficiale di un quartiere, parole sull’atto anagrafico, bensì il nome in cui ci si riconosce, a cui si risponde, il suono di casa. È una questione di prospettiva?

Per scoprirlo, l’antivigilia di Natale, nelle ore verso il crepuscolo, le sciarpe alte sul collo, le mani in tasca e un trolley al seguito, una quindicina di persone si è introdotta tra queste vie. “Welcome to Shanghai”, il nome della visita architettonica che David Calas, architetto bolzanino trapiantato a Vienna, ha offerto al Club Alpbach Südtirol Alto Adige (CASA). L’itinerario: Casanova, Don Bosco, le ex Semirurali, Aslago. Iniziando proprio da Don Bosco-Shanghai, dove la nostra guida è cresciuta.

Alla tensione tra ghetto e paese, tra definizione e nome, David ne aggiunge di ulteriori. Nato tra le vie di Don Bosco, egli riunisce in sé l’essere abitante di queste zone con l’esperienza da architetto e urbanista. Lo sguardo interno del ragazzo di quartiere che riconosce la bellezza nascosta di certi posti si unisce quindi alla visione distaccata dell’esperto, profondo conoscitore delle dinamiche di Bolzano, che non può che essere critico con la creazione di tali, numerosi corpi distaccati – urbanisticamente, socialmente – dal resto della città. In più la sua doppia appartenenza – il padre di origine friulana, la madre della val d’Ega – che tanta curiosità mieteva tra i suoi coetanei nelle borgate bolzanine degli anni Novanta. E la sua esperienza all’estero, la quale, se non va venir meno l’affetto per le vie in cui è cresciuto, non può che illuminarle di una diversa, straniante luce. Chi poteva essere miglior guida?

Ecco quindi Casanova: sulla carta, insediamento modello, a dialogo con la storia architettonica della conca bolzanina e l’ambiente circostante, attraente, ben collegato al centro. Oggi, un’alta staccionata divide la strada dai meleti circostanti, negozi non se ne vedono, spazi lavorativi pure. Don Bosco, con la piazza teatro di vari comizi di importanti esponenti della Destra, da qualche anno intitolata ad Anne Frank, e i ragazzi che giocano a palla. La chiesa di san Pio X, suggestiva opera di Armando Ronca, sulla cui facciata è stata apposta una stella cometa illuminata. E la zona delle ex Semirurali, il lotto di Carlo Aymonino nel quadrilatero fra le vie Udine, Milano, Brescia e Cagliari, le “case inglesi” di Darbourne & Darke, il lido recentemente ristrutturato…

“Cosa c’è da vedere, qua?”, ci chiedeva qualche passante.

Tanto, in realtà. Certo, innanzitutto storia architettonica, considerazioni urbanistiche passate e presenti: le altezze degli edifici, le relazioni tra un insediamento e l’ambiente circostante, i richiami architettonici, le aspirazioni sfiorite di certi architetti… Ma da questo si passava a considerazioni sulla vita di quartiere, sulle dinamiche sociali, sulle circostanze politiche del tempo, sui possibili sviluppi futuri. Perché flebile è il discrimine tra architettura e storia, l’una spesso conseguente all’altra, e tra architettura e società, che si definiscono l’un l’altra. “Don Bosco” e “Shanghai”, probabilmente, sono due facce della stessa medaglia.

D.R.

per Club Alpbach Südtirol Alto Adige

7.1.2018